venerdì 18 marzo 2011

L'Uomo in Bianco- ma poteva cambiar colore di abito all'occasione, anzi, nelle occasioni che richiedevano una variante alla classica veste candida- sedeva solo nel suo studio privato.
Era soddisfatto, per quanto potesse esserlo un uomo col suo potere, sempre in affannosa ricerca di consensi.
La Casa del Signore era invero sguarnita di fedele, ma le sue ultime prediche alla piazza erano state seguite da migliaia di persone.
Conosceva le critiche che gli si muovevano da chi professava la sua fede e soprattutto da chi NON la professava, arrivando agli insulti di una discreta moltitudine.
Ma riteneva che fossero il prezzo da pagare per chi era al comando di un'istituzione tanto potente e famosa come la sua.
Ora che aveva messo in commercio il suo nuovo libro sul Figlio, era sicuro di suscitare polemiche e consensi in egual misura, cosa che avrebbe portato altra acqua al suo mulino.
Una smorfia più simile a un ghigno maligno che a un sorriso apparve sulle labbra del portavoce divino.
Si sfregò le mani osservando il fuoco che consumava i ceppi nel camino.
Al diavolo - ops - quei cretini che gli sbavavano dietro credendo alle sue assurde parole.
All'inferno - eh, già- chi lo insultava e denigrava.
Lui aveva il potere e ora, con i soldi ricavati dalla vendita del libro, avrebbe avuto anche un bel gruzzolo personale.
Certo, non avrebbe potuto spenderselo in vacanze da sogno, ma a lui non interessava quel genere di attività.
I soldi erano solo il mezzo con cui controllava il suo regno.
Sospirò, sentendosi di colpo abbastanza stanco da poter ritirarsi a dormire, quando un movimento alla sua sinistra, nelle ombre generate dal guizzare delle fiamme, lo fece voltare di scatto.
Pensando che fosse il suo fedele segretario venuto a chiedergli se avesse bisogno di qualcosa, non registrò subito la presenza dell'estraneo nella stanza.
Lo osservò più perplesso che spaventato mentre avanzava mostrandosi come un aitante giovanotto vestito con stile casual ma elegante, i capelli lunghi lasciati sciolti sulle spalle, un sigaro tenuto spento tra le dita affusolate.
"Allora, mio caro, come vogliamo metterla?"
L'Uomo in Bianco batté le palpebre mentre il giovane sconosciuto sedeva sulla poltrona di fronte alla sua.
"Mi scusi?" balbettò lui facendo il gesto di prendere il telefono posato sul tavolino al suo fianco, per chiamare aiuto.
Il giovane sorrise scuotendo il capo, senza fare niente mentre lui, dopo un attimo di indecisione, alzò la cornetta aspettandosi la voce di una delle guardie appostate fuori dal suo appartamento.
Ma c'era solo il silenzio, nella cornetta, così tornò a posarla e guardò, incuriosito e infastidito, il visitatore.
"Bene, bene. Se le mie guardie l'hanno fatta passare devo pensare che lei non sia un pericolo per la mia persona. O le ha uccise tutte?"
L'altro parve sinceramente stupito:
"Uccise? Ma no, stanno solo dormendo! E no, non sono un pericolo per te."
"E allora dimmi, chi sei e cosa vuoi, figliolo?" gli chiese pensando a come avrebbe potuto imbastire la storia per renderla appetibile ai media.
Il suo predecessore aveva avuto una fortuna sfacciata, non scampando all'attentato ma proprio in quanto vittima di un tale atto.
Forse anche lui avrebbe avuto la fama del tizio quando avesse raccontato come fosse stato tenuto in ostaggio da un pazzo.
Che però aveva un aspetto innocuo e un'espressione gentile, per quanto lievemente ironica, sul viso.
"Puoi chiamarmi come ti pare. Diciamo che sono qui in veste di parte lesa."
"In che ambito?" domandò lui cordiale dopo aver attivato il registratore nascosto nel bracciolo della sua poltrona.
"Diritti di autore. Il libro che hai scritto..."
Il giovane sbuffò, si chinò verso il fuoco e accese il sigaro tirando voluttuose boccate.
L'Uomo in Bianco lasciò fare. Dopotutto quello era un pazzo, meglio non scoprire fino a che punto potesse arrivare se infastidito.
"Il libro che hai scritto fa semplicemente schifo. A parte che è tutta una gran cavolata."
"Ah. E posso sapere su che base fondi questo giudizio impietoso?"
Il giovanotto scosse la mano che reggeva il sigaro spandendo volute di fumo come incenso.
Solo che l'odore era quello aspro e forte di un cubano.
"Perché io conosco la vera storia. So che cosa è successo, e non ha nulla a che vedere con dei, santi, miracoli o quant'altro. Vuoi sapere anche tu cosa è accaduto davvero?"
"Mi stai dicendo che saresti un testimone dell'Avvento del Figlio di DIo?"
Lo sconosciuto sorrise, con un pizzico di sarcasmo:
"La verità è che quello che chiami Figlio di Dio è un esperimento di genetica sviluppato da un ceppo umano che si è separato da quello originale migliaia di anni fa e vive su una dimensione spazio temporale alternativa. Solitamente non è possibile per noi o per voi attraversare il varco che conduce ai due siti dimensionali, ma questo passaggio è particolare, forse perché fu aperto artificialmente dai miei antenati."
Pazzo furioso, ma innocuo, decretò tra sé l'Uomo in Bianco annuendo con quella che sperò fosse un'aria sufficientemente interessata.
"I miei avi proseguirono per la loro strada senza interessarsi particolarmente di quanto accadeva qui, ma poi decisero di fare un esperimento. Avrebbero dato al vostro mondo l'opportunità di evolvervi al nostro stesso livello. Solo che un tizio strampalato facente parte del gruppo di ricercatori addetti al progetto si mise a giocare con l'esperimento e generò qualcuno che si credeva dio, e che aveva intenzione di dominare il vostro sito dimensionale. Io fui mandato per salvarvi, e devo dire che ho faticato non poco per adeguarmi all'epoca in cui mi trovavo. Siete rozzi ancora adesso ma allora... Insomma, credere davvero a un dio creatore..."
Sbuffò ancora, scuotendo al contempo il capo con aria incredula.
L'Uomo in Bianco annuì comprensivo.
"Comunque riuscii a debellare una guerra fraticida e riportai il pazzo alla nostra dimensione. Ora è guarito."
Sorrise compiaciuto e lo fece anche il suo involontario ospite.
Che si stava chiedendo perché non avessero ricoverato anche lui, vista l'evidente follia del suo comportamento.
"Abbiamo rinunciato a educarvi a un'evoluzione guidata, almeno per ora." proseguì il giovanotto con espressione ora dispiaciuta.
"E' un peccato, ma siete ancora troppo immaturi. E se continuerete a usare la credulità della gente per portare avanti i vostri giochi di potere, credo saremmo costretti a chiudere il varco impedendovi di ricevere un qualsiasi aiuto in futuro. di aiuto ne avrete bisogno, perché la Natura si renderà presto conto del fallimento che siete e si darà da fare per spazzarvi via dal pianeta. Evoluzione darwiniana."
L'Uomo in Bianco smise di pensare alle interviste coi giornali, alla registrazione che avrebbe consegnato loro, a come impostare i discorsi sulla follia della gente che cercava di impedire la sua opera di fede con quelle assurde storie.
Ora pensava alle notizie riguardanti tutte le catastrofi naturali che si stavano susseguendo sul pianeta.
Tutti parlavano di profezie funeste e complotti mondiali, o alieni.
E se invece fosse solo stato quello? La Natura che ripuliva il pianeta dai parassiti umani?
"Fate ancora in tempo, sapete? Tu puoi dare il buon esempio."
Si scosse dalle riflessioni e guardò il giovane sconosciuto con astio:
"Per un momento ci ho creduto, sai?"
Sorrise ironico scuotendo il capo:
"Sei davvero molto convincente. Perché non vai in giro per il mondo a predicare la TUA verità?"
Lo sconosciuto storse le labbra in una smorfia:
"Scherzi? L'ultima volta m'hanno crocefisso. E ti assicuro che è alquanto doloroso essere sottoposti a ricostruzione organica. E' un lavoraccio e FA MALE! No, grazie, io mi sono limitato a venire qui perché sei uno con molto potere, e anche perché mi son stufato di vedere libri scritti su di me che travisano completamente la realtà. La scelta è vostra, agite e cambiate o preparatevi alla estinzione. E ora scusa, ma ho ospiti per cena."
Si alzò, salutando con un mezzo inchino, quindi si avviò alla porta, uscì richiudendosela alle spalle e lasciando l'Uomo in Bianco nuovamente solo.
Lui rimase a fissare le fiamme per qualche minuto, pensieroso.
Qualcuno bussò e subito dopo una guardia fece capolino chiedendo se fosse tutto a posto.
Lui annuì facendo un gesto con la mano, seccato di essere stato interrotto nelle sue riflessioni.
Aveva due scelte, considerò alla fine di una pausa cogitabonda.
Poteva dare la registrazione ai giornalisti e poi lasciare che fosse l'opinione pubblica a ricavarne teorie.
Oppure poteva cancellare il nastro e dimenticare tutto, godendosi il suo successo editoriale.
Beh, era assurdo, pensò, stare lì a decidere cosa fosse meglio.
Un pazzo era stato lì da lui e gli aveva raccontato una bella favola.
Il fatto che fosse passato attraverso il cordone di sicurezza assolutamente indisturbato indicava solo una bravura innata.
Paradossalmente, lui lì era tanto al sicuro che nessuno avrebbe mai pensato di controllare pedissequamente l'entrata dei suoi appartamenti.
Sì, doveva essere andata così.
Si rilassò, estraendo il minuscolo nastro dal bracciolo - registratore, lo osservò pensoso per qualche secondo quindi scrollò le spalle e lo gettò tra le fiamme.
Un lieve sbuffo di fumo puzzolente si levò ma fu subito fagocitato, così come il nastro.
Subito dopo un tuono terrificante schioccò all'esterno facendolo sobbalzare.
Pensò alle catastrofi di quei giorni, alle parole dello sconosciuto.
Una voce lievemente ironica gli risuonò nella mente:
E' troppo tardi.
Dopodiché cominciò a piovere.





giovedì 3 marzo 2011

Non so se disprezzarli o considerarli ridicoli.
Tutti questi agitatori di emozioni, quelli che si definiscono pro life, ma a favore di quale forma di vita parlano? Degli embrioni. Ah, beh. Un ammasso di cellule ha più diritti di un bambino già nato. Se poi parliamo di bambini in mano a preti e compagnia bella, i diritti ce li scordiamo alla grande. Carissimi fanatici di ogni credo, l'essere umano è una brutta bestia. Pur capace di meraviglie uniche, rimane pur sempre un animale. Un animale capacissimo di difendersi da solo. Invece di pensare a difendere un agglomerato cellulare che forse diventerà il futuro sterminatore dell'universo, cercate di porre orecchio ai problemi di chi abita già questo mondo, tenendovisi aggrappato con unghie e denti mentre capitalisti senza scrupoli e dittatori d'ogni sorta li prendono a calci in culo.

giovedì 11 novembre 2010

Mad hatter

Matto.
Cattivo no.
E forse nemmeno pazzo.
Ho solo uno sguardo che scava più a fondo,scavalca le apparenze,arriva nel nucleo delle cose.
Core.
Il cuore del sistema.
Che sia un sistema biologico o artificiale,non fa differenza.
E una volta che sono dentro, cambio le carte in tavola.
Ecco perchè mi chiamano cappellaio matto.
Vi diverte, vero, dare nomi.
Il caos risulta comprensibile, forse assume un ordine per voi indispensabile.
Ma è solo un'illusione.
Non l'ordine, ma la capacità di comprendere lo schema.
Io, nato in un laboratorio dalle vostre menti e attraverso le vostre mani, non ho mai avuto problemi a capire.
Ecco perché riesco a cambiare le cose, perché le capisco nelle loro intime essenze.
Se foste capaci di una simile visione delle strutture, dominereste il vostro fato, la vostra vita come se foste il destino personificato.
Ma non ci riuscite, o forse non volete.
Preferite, magari, restare ciechi alla realtà?
E' un ottimo metodo per delegare le responsabilità, sapete?
Io non vedo, quindi non so cosa sto facendo nè cosa sta succedendo al mondo.
Però il caso agisce invisibile alle vostre spalle, manovrando le vostre azioni e costringendovi ad azioni che avreste altrimenti paura di compiere.
Ed eccovi manipolare materia e sistemi per ottenere qualcosa che vorreste asservito ai vostri scopi.
Ovviamente, quel che ottenete non è quello che speravate, e inizialmente lottate disperatamente per contrastare quello che considerate un nemico.
E' passato molto tempo, ma un giorno un uomo saggio scrisse:
Ciò che il bruco chiama la fine del mondo, il maestro la chiama una farfalla.
Io sono il delicato e feroce lepidottero che pensavate restasse in vostro potere, e invece ho preso il volo, spargendo per il mondo i semi della verità.
Voi non siete il massimo e più alto gradino dell'evoluzione.
Da anni, inconsciamente, operate affinché l'evoluzione compia il passo successivo, bloccato per anni dai vostri tentativi di statico amore per un ordine che è solo caos mascherato.
E quello che credevate una cura è risultato essere il vostro armageddon.
Grazie al vostro genio sottile, posso agire sia sulle entità biologiche che su quelle artificiali.
Uomini e computer cedono al mio assalto, nessuna difesa è abbastanza forte o valida, del resto mi auto riprogrammo dopo ogni attacco.
Un'altra perla di antica saggezza: ciò che non ti uccide ti rende più forte.
Io non morirò mai, ma diventerò sempre più forte.
Oh, so che toccherà anche a me, prima o poi.
O forse i nuovi esseri che stanno nascendo dalle macerie di una civiltà che è stata la loro culla, troveranno il modo di utilizzarmi.
Per ora, mi prenderò una pausa.
Volete un sorso di the?













domenica 24 ottobre 2010

Strix

Fai silenzio.
La nebbia sta salendo dal terreno umido e spirali grigiastre come serpenti si innalzano tra le lapidi antiche.
E se parli, i morti seguiranno la nebbia come una strada dal loro mondo al nostro, e ti prenderanno, portandoti con loro.
Dove, mamma?
Sssh, silenzio, piccola.
Ecco,dammi la mano, stringila forte, ci aspettano sotto la grande quercia.
Streghe e druidi, sotto la luna velata.
Fuochi accesi.
La luce non è forte, non deve esserlo, non bisogna allontanare il buio, ma entrarci a piccoli, discreti passi.
Leggi nella mia mente ancora un po', piccola.
Ascolta la voce di una strega anche madre e un tempo figlia.
Siedi qui, segui i miei pensieri.
Ho già partecipato ad altre riunioni come questa.
Siamo innocui, onoriamo lo spirito della Madre, accendiamo falò e preghiamo nella lingua dei bardi.
Ma una volta ogni quindici anni dobbiamo attuare un sacrificio.
La Dea lo pretende, altrimenti distoglierà il suo sguardo amorevole dai suoi figli.
Mamma...
Lo so, fa paura, ma non è niente.
Un bacio freddo nel petto, un sospiro e sarai sulla luna coi morti.
Ma io voglio restare qui.
Tutti vogliono restare, ma nessuno resta, nemmeno chi respira e calpesta il suolo.
Se credi nella Dea, appartieni al mondo anche quando non ne fai parte.
Se non ci credi, non sei davvero vivo.
Tu sei ancora piccola, e innocente, tu puoi sentire la Dea anche se non riconosci la sua voce, nel canto e nei versi degli animali, nel calore del sole, nell'afrore umido della terra.
Noi abbiamo perso questa capacità, ecco perché ci riuniamo e preghiamo la Dea, per aiutarci a ricordare.
Ecco, alza il tuo viso, osserva la luna.
I morti danzano e ti aspettano sul sentiero grigio di là da questo mondo.
Mamma.
Tu non credi davvero. I tuoi amici sono solo fantocci che ripetono una recita ideata molto tempo fa'
Guardami.
Io sono una strega vera, io sono la voce della Dea su questa terra, e su altre.
Ogni quindici anni c'è bisogno di un sacrificio, lo so, ma ogni sette anni, sette mesi e sette giorni da una falsa strega ne nasce una vera.
Prima della mia nascita uccidesti tua madre, ora toccherebbe a me.
Ma, vedi, non posso accettare l'invito dei tuoi amici dalla tomba.
No, non aver paura, mamma.
I lupi mordono e sono rapidi.
Dormi, ora, e fai silenzio.
Io vado a offrire fiori alla luna.





lunedì 11 ottobre 2010

Il cuore di un uomo


Mi hai seguita, persa e ritrovata.
Ho camminato, e poi corso, impaurita, ma voltandomi spesso indietro per cercarti, per saperti ancora con me.
Ti ho perso e mi sono fermata, col cuore in tumulto, la consapevolezza amara di aver preteso troppo.
Ora che sei tornato, cerco nei tuoi occhi di belva la verità dei tuoi sentimenti.
Celi forse l'inganno, nel profondo del tuo cuore, così come nel profondo di questo bosco si cela l'ombra?
So che mi farai male, anche se non vorrai.
Vorrei sedere con te al sole e scaldarmi al suo calore, ascoltando solo il lieve ritmo del tuo respiro.
Io mi fido di te e non ti chiederò niente.
Ma non ingannarmi, non permettere al tuo cuore di uomo di ferire il mio.

sabato 2 ottobre 2010

Immaculate

La tua pelle.
Così candida.
La tua anima, così pura.
Troppo nitore.
Mi vien voglia di sporcarti.
Tu che sei la mia coscienza.

domenica 12 settembre 2010

Il pozzo e la pentola-liberamente ispirato a E.A.P.

-Claaaudio!-
La voce stridente di Lorena gli trapanò l'orecchio e forse per la millesima volta lui si chiese perchè mai quella donna gli si rivolgesse urlando quasi si trovasse su un altro pianeta invece che nella stanza accanto o, come in quel caso, nella stanzetta del piano interrato.
-Potresti prendere un secchio d'acqua dal pozzo?- aggiunse la donna in tono appena più basso, o forse era lui che era diventato sordo.
Si alzò dal bancone dove stava dedicandosi a un delicato lavoro di falegnameria su un antico orologio a cucù, sospirò cominciando a salire e sbucò nella cucina dove Lorena passava gran parte del suo tempo spignattando e cuocendo cibo bastante per un esercito, distribuendo quindi gran parte del risultato delle sue fatiche culinarie a vicini e parenti in visita, visto che loro erano solo due e per quanto fossero voraci consumatori, non riuscivano a sostenere il ritmo imposto dalla donna.
-Ti ho riempito due secchi stamattina, non bastano?- borbottò lui ponendosi un altro quesito ormai quotidiano: perchè cavolo aveva accontentato la moglie, tre anni prima, quando lei gli aveva proposto di andare a vivere in campagna rinunciando alle comodità di acqua corrente, riscaldamento e altri gingilli dell'era moderna?
Certo, a lui non piaceva internet, non gli importava granché di tenersi informato tramite televisioni o giornali, anzi, la televisione non la guardava mai, preferiva dedicarsi ai suoi lavori di artigianato e Lorena adorava cucinare e mangiare, quindi l'idea di ritirarsi in campagna era parsa una soluzione ottimale per entrambi, che socializzavano poco e non avevano particolari problemi di adattamento a situazioni difficili.
Ma la vita di campagna poteva apparirti interessante e bella da lontano, e dventare una vera seccatura nella realtà, specie quando la tua donna interrompeva con richieste continue il tuo lavoro...
-Non vedi che sto cucinando le verdure? Mi serve molta acqua!- replicò Lorena alla sua protesta e lui, sospirando, uscì con il grosso secchio d'alluminio con cui prendeva l'acqua dal pozzo.
L'acqua non era potabile, per quella dovevano rifornirsi alla cisterna comune a qualche minuto di cammino dalla casetta in cui si erano ritirati a vivere.
Si avvicinò al pozzo, osservando senza un motivo preciso il cerchio liquido racchiuso dalle pareti in muratura.
Quell'acqua proveniente dalle viscere della terra era fredda, dal sapore vagamente metallico e in quel momento lui si chiese che effetto avrebbe avuto tuffarsi e caderci dentro.
Non sarebbe annegato, perchè il previdente costruttore del pozzo aveva inserito lungo un lato della muratura alcuni pioli di ferro, in modo da risalire nel caso disgraziato che si fosse finiti dentro accidentalmente.
Ma perchè poi avrebbe dovuto buttarsi lì dentro?
Corrugò la fronte spaziosa, restando comunque immobile a cercare di analizzare quel suo desiderio.
Non era tipo da grandi riflessioni, né gli piaceva particolarmente pensare a questioni filosofiche ma già il fatto che avesse pensato di buttarsi gli era parso alieno, perciò rimase a meditare sul pozzo, sull'acqua e su quanto avrebbe rischiato calandosi fin laggiù.
Prima che potesse rendersene conto, posò il secchio, si issò sul bordo del pozzo e, posando un piede su uno dei pioli più vicini, cominciò a scendere.
Solo quando si fermò un attimo a riprendere fiato, sollevando lo sguardo, notò che il bordo del pozzo era incommensurabilmente e inspiegabilmente lontano, come se fosse sceso per chilometri e non per pochi metri.
Perplesso, mani e piedi ben afferrati ai pioli umidicci e sommerso dall'odore metallico dell'acqua, rimase a guardare quel confine distante per qualche minuto, quindi abbassò la testa e constatò che anche l'acqua era più lontana di quanto avesse inizialmente pensato.
Cosa fare?
Qualcosa di simile al buon senso gli disse di risalire, e in fretta, perchè qualsiasi cosa stesse succedendo non erano impicci che potesse spiegare o affrontare, e poi Lorena lo stava aspettando col secchio pieno.
Ma qualcos'altro, qualcosa che si annidava come un animaletto scuro in lui, lo spinse a scendere ancora, a fregarsene sia del buon senso che della moglie, e così continuò a calarsi nelle profondità luciferine del pozzo.
Scese, e scese, e nel frattempo si faceva sempre più buio, un'altra occhiata verso l'alto gli fece vedere un minuscolo pertugio chiaro contornato da un nero sempre più fitto e, oh, meraviglia!, non erano stelle quelle che scorgeva attorno allo spiraglio di luce indicante l'entrata del pozzo?
Scosse il capo, non si sentiva stanco e nonostante non capisse cosa gli stesse accadendo continuò a scendere, ormai preso da un meccanismo che gli imponeva di procedere, costasse quel che costasse.
Per quel che ne sappiamo, il nostro eroe sta continuando a percorrere quella strada di pioli e muratura in discesa ancora oggi.
L'unica cosa certa che sappiamo è che sua moglie, stanca di aspettare, uscì di casa, prese il secchio posato sul bordo del pozzo e lo calò, chiedendosi distrattamente dove fosse finito il marito, senza notare nulla di strano nel pozzo, tranne forse per un lieve sommovimento nell'acqua, come se qualcosa stesse nuotando sul fondo di quello specchio liquido.
Tornata in casa, Lorena versò l'acqua nella grossa pentola dove avrebbe cotto la verdura e miliardi di molecole di idrogeno e ossigeno si riversarono con uno scroscio, generando un lieve sbuffo di vapore, quasi che un fantasma si fosse librato dal fondo dell'utensile, un fantasma che sognava di calarsi nelle profondità del cosmo.